La Medicina Ufficiale, quella che ci offre il Sistema Sanitario Nazionale, la medicina offerta dal Medico di Famiglia, degli Ospedali, nella sua attività pratica offre al malato utilità ed efficacia, pratica, conoscenza, principi etici. È una scienza, quindi richiede una teoria della conoscenza, una epistemologia, ma è anche una scienza applicata e pertanto rivendica una teoria della coerenza fra azione e possibili risultati. Secondo l’etica, la morale, il valore della conoscenza medica è un valore positivo; è l’efficacia della competenza per la società anche se i giudizi scientifici sono solo enunciati in cui si descrive e/o si spiega la realtà che si manifesta sotto i nostri occhi.

La scienza medica è un bene da perseguire e i mezzi che permettono di conseguire questo bene acquistano un valore positivo. Il metodo scientifico è stato l’iter conoscitivo per i vari modelli di conoscenza scientifica negli ultimi trecento anni fino all’attuale modello molecolare garantendo sempre la validità e la coerenza dei risultati del processo conoscitivo e della ricerca.
Questo metodo intransigente di procedure riduttive, nello studio diretto e indiretto della realtà percepibile, permette di definire i confini della scienza da quelli della pseudoscienza così che le regole del metodo scientifico fruiscono di un valore positivo diventando vincolanti per chi vuole guadagnare la conoscenza della realtà empirica. Oggi è questa l’etica dello scienziato e la dignità del medico nel praticare e nutrire la conoscenza.
Le scienze omiche (trascrittomica, proteomica, metabolomica) che utilizzano tecnologie di analisi che consentono la produzione di informazioni (dati) in numero molto elevato e nello stesso intervallo di tempo, utili per la descrizione e l’interpretazione del sistema biologico studiato, oggi stanno rivoluzionando l’approccio biologico delle malattie.
Sono sistemi di studio scientifico e tecniche che permettono di analizzare insiemi di fattori complessi in maniera olistica: cioè, in biomedicina, pool di molecole biologiche, parti di una cellula o sistemi enzimatici, cellulari o tissutali, microrganismi o vie metaboliche, operanti all’interno degli organismi viventi in maniera complessa. Lo scopo di tale approccio olistico è quello di poter comprendere operando con approcci integrativi, principi operativi biologici di livello più elevato (complesso), applicabili a tutti gli organismi viventi (Geshwind e Konokpa, 2009; Kell et al., 2007; Villoslada et al., 2009).
Nelle scienze biologiche e mediche, non tutte le domande sono formulabili e quindi risolvibili direttamente attraverso la singola sperimentazione clinica e/o di laboratorio, essendo fenomeni spesso strutturati in una scala gerarchica di eventi, nella quale i livelli sono a loro volta determinati dall’ampiezza/complessità delle risposte che la ricerca si attende.
L’uomo per la scienza è un insieme coordinato di strutture e di funzioni molecolari altamente complesse che presuppongono un piano strategico organicistico per la stessa conoscenza oggettiva. Sono le stesse proprietà della struttura logica della scienza applicate alle scienze omiche che ci rivelano, oggi, nuove qualità della realtà insospettate: la singolarità, la esemplarità e l’irriducibilità dell’individuale, ovvero la unicità di ogni individuo; prospettano un nuovo cambio di paradigma dove l’indagine genetica si avventura verso la ricerca di farmaci e terapie tarate sulle differenze individuali con l’obbiettivo di potenziare al massimo l’efficacia della cura sul singolo.
La Medicina di Precisione riproponendo il pensiero ippocratico “È più importante conoscere che tipo di persona ha una malattia, piuttosto che conoscere il tipo di malattia che ha la persona”, ci svela una nuova conoscenza dell’essere del paziente, dove la medicina applicativa si trova in difficoltà nella sua classificazione, per l’incapacità di giungere a quel momento di sintesi, tipico della diagnosi, tra identificazione di elementi clinici e malattia.
Questa Medicina di Precisione del 3° millennio, consente di trasformare tutto ciò che è stato e viene conseguito nelle scienze biomediche, fisiche ed ingegneristiche, in una fattiva convergenza per un reale miglioramento nella prevenzione, diagnosi e cura di malattie neoplastiche, degenerative e genetiche. La medicina-scienza ha un suo proprio e privilegiato spazio nello studio dell’uomo sotto l’aspetto conoscitivo fisiopatologico indipendente dalla nozione di malattia, che resta una nozione storica, culturale ed etica. Il confine tra normale e patologico varia nel tempo ed è in funzione dei modelli di spiegazione (paradigmi) e delle tecniche di rilevazione dei segni clinici.
Nel gennaio del 1905 il Prof. Augusto Murri affrontava, nelle sue lezioni di clinica medica alla Regia Università di Bologna, il problema del metodo critico, dell’educazione della ragione al pensiero libero, senza idoli e preconcetti. Forse Murri cercava quello che, di queste lezioni, è il motivo conduttore, di per sé immune da ogni confine disciplinare: il “consiglio delle cose”, la forza e il cammino del vero, l’esercizio di un pensiero critico mai dogmatico (nemmeno verso la scienza), dove Newton, Darwin e Pavlov convivono con Cicerone e Voltaire, con Platone e Montaigne, con Hahnemann e i Vaidya della medicina ayurvedica. Riletti oggi, questi testi ben degni di un canone letterario ci ridanno il “gusto” di un’umanità dispiegata, di una Medicina vissuta come forma di umanesimo integrale.
Murri ha indicato chiaramente che senza base empirica e senza una cultura di base non c’è medicina e che comunque si è “ancora lontani dalla meta. Se non avrete la facoltà di fondere tutte queste notizie in un giudizio sintetico, sarà come se non sapeste nulla (…) resta sempre una parte grandissima del processo morboso che non si può sottoporre allo sperimento. Il bisogno di causalità non può d’altra parte consentire di accettare senz’altro questi frammenti numerosi e sicuri; esso ci spinge a ricostruire l’intero cui appartengono. Ma come ricostruire? Lo ripeto: ciò è possibile soltanto con la ragione”.
Oggi questi insegnamenti godono di nuova luce per la dimostrazione da parte delle scienze omiche di nuove qualità della realtà insospettate, ovvero la singolarità, la esemplarità, l’irriducibilità, la unicità di ognuno di noi.
Ma questo è il pensiero espresso dall’Omeopatia, dalla Medicina Ayurvedica, dalle Medicine del passato!
Di fronte, pertanto, ad una medicina che non può che essere scientificamente personalizzata, il medico si ritrova gli stessi problemi del clinico di fine Ottocento Gioseffo Jacopo Plenck (medicina casuistica) e suonano quanto mai attuali i richiami di Augusto Murri per cui “la critica è certo la più fondamentale dote dello spirito, perché la più efficace profilassi dell’errore…”.
Negli ultimi decenni la pratica medica, inquinata da una impostazione intesa a descrivere i vari fenomeni comprendendoli sotto leggi universali, in contrapposizione a discipline specialistiche del pensiero (EBM), ha represso l’incontro della conoscenza scientifica con la singolarità del paziente e si è lasciata guidare solo dall’immutabile, rigido, assoluto studio descrittivo delle malattie e dalle conoscenze di ordine generale (linee guida) che proponevano di affrontare i pregiudizi, l’occultamento di inefficacia favorendo l’orientamento precostituito delle prove di efficacia.
EBM “il processo della ricerca, della valutazione e dell’uso sistematici dei risultati della ricerca contemporanea come base per le decisioni cliniche”. Trisha Greenhalgh e Anna Donald lo definiscono più precisamente come “l’uso di stime matematiche del rischio di benefici e danni, derivate da ricerche di alta qualità su campioni di popolazione, per informare il processo decisionale clinico nelle fasi di indagine diagnostica o la gestione di singoli pazienti”. Con assistenza sanitaria basata su prove di efficacia (evidence-based health care) ci si riferisce all’estensione del metodo a tutti gli operatori sanitari.
Un articolo comparso sulla rivista Nature riporta che i dieci farmaci con il maggiore fatturato negli Stati Uniti funzionano, nel migliore dei casi, in un paziente su quattro (nel peggiore in uno su 25).
Questi ultimi decenni ci hanno fatto riscoprire la medicina e gli insegnamenti dei Maestri del passato che, pur privilegiando la scientificità della medicina ovvero tutto ciò che le consente di essere scienza attraverso la definizione dei suoi paradigmi fondanti, riconoscevano al processo clinico la sua natura fondamentalmente interpretativa, eliminando tutte le interferenze nocive alla riscoperta dell’unicità e dell’irripetibilità del malato.
Ne consegue quindi che:
- ogni ammalato deve essere ascoltato e riascoltato dal Medico che si prende cura di lui,
- ogni ammalato deve essere visitato, sono inaccettabili le diagnosi via telefono e internet,
- ogni ammalato deve aiutare il medico nello scrivere l’Anamnesi: familiare, patologica remota e recente,
- ogni ammalato deve conoscere e spiegata la diagnosi,
- ogni ammalato deve poter fruire di esami se necessari,
- ogni ammalato deve avere la sua propria terapia,
- ogni ammalato deve avere la spiegazione della terapia prescritta,
- ogni ammalato deve poter avvalersi di una terapia complementare se possibile,
- ogni ammalato deve poter contare sul proprio curante.
La paura di essere perseguitati per negligenza è una delle peggiori tragedie della medicina moderna. Questa ladra della gioia nella pratica medica ha rubato l’umanità dei medici. La nostra società ci sta dicendo che non abbiamo diritto di commettere errori. I dottori di famiglia sanno che commettiamo degli sbagli ogni giorno, anche solo trascorrendo troppo poco tempo con i nostri pazienti. Dobbiamo avere il diritto di fare degli errori. La scienza medica è così imperfetta che è impossibile sapere per certo, prima di trattare un paziente, quale sarà il risultato. Ogni terapia è sperimentale e ogni medico sollecito deve correre dei rischi, se vuole aiutare i suoi pazienti. L’incompetenza è un’altra questione: se un medico è incompetente non dovrebbe praticare la medicina e basta.
(Patch Adams)
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